
Creato da Usine Baug
Interpreti: Ermanno Pingitore, Stefano Rocco
Sguardo esterno: Claudia Russo
Luci: Emanuele Cavalcanti
Durata: 60’
Lingua: Italiano o Francese
Età: dai 13 anni
La storia, o meglio: le storie (un po' di spoiler, ma non troppo)
Cos’è una frontiera? Due personaggi cercano di rispondere a questa domanda palleggiandosi, parole, immagini, aneddoti ed esempi perché le frontiere sono ovunque: dal tornello della metropolitana allo steccato che separa due giardini, dalla buccia di un pomodoro alle porte del treno che si chiudono giusto un attimo prima che tu salga.
Ma, piano piano, una storia comincia a prendere il sopravvento…
La storia di Fanzié, triplo concentrato di pomodoro cinese, marchiato Made in Italy e venduto in Ghana. Fanzié sbaraglia la concorrenza e i pomodori locali marciscono sui bancali, nessuno più coltiva niente e la gente si arrende e prende la via del deserto, del mare, delle frontiere da attraversare. Ed eccoci poi in Italia, seguendo ora il viggio di Pummarò che arriva da lontano, ha un berretto rosso in testa per questo lo chiamano così e quando ripensa ai suoi pomodori gli brillano gli occhi “Ma tu a quanto li vendevi ‘sti pomodori al paese tuo? ...Eeeh troppo cari li facevi, così non te li compra nessuno”. I suoi campi ora non esistono più e le sue piante sono appassite ma Pummarò ,è un bravo ragazzo e anche qui, in Italia, sta rientrando nel business del pomodoro.


Un cerchio che si chiude insomma, se non fosse per la legge, materializzata nel Signor Bianchini, funzionario comunale: “Mi dispiace, la sua richiesta non può essere ottempata in razione di un malindetto presente in calce alla sua dettizione d’origine”. E allora via, di nuovo in viaggio, verso le Alpi, verso un’altra frontiera da attraversare.
Una storia composta da 4 capitoli, che possono essere letti insieme o avere una vita propria, per raccontare 4 facce della frontiera. Da una parte le merci, dall’altra le persone; nel mezzo la burocrazia, la violenza senza corpo della legge, che si materializza laddove un corpo disobbediente cerca di violarne le ingiunzioni.
Una storia, o una marea di storie: tutto quello che vedrete in scena fa riferimento o si ispira a fatti realmente accaduti. Vi parliamo del concentrato di pomodoro prodotto in Cina o in California, trasformato in Italia e rivenduto in tutto il mondo; di un contadino ghanese che ora raccoglie pomodori in provincia di Foggia; parliamo di B., caduta nel fiume mentre scappava dalla polizia; di M. la cui richiesta di asilo è stata respinta per un errore di ortografia, di H., partito a piedi dall’Iran, che parlava del suo viaggio come un gioco a livelli (giusto per curiosità, H. ha vinto. Ora è in Belgio con la sua famiglia), e di tanti altri viaggiatori ancora.
Vi parliamo delle frontiere grandi e invalicabili o di quelle di tutti i giorni, quelle che tutti conoscono e contro cui tutti, prima o poi, si scontrano. Utilizziamo immagini, metafore: lo facciamo mettendo in scena 2 buttafuori di una discoteca esclusiva o un addetto di un lido balneare che dà la caccia a chiunque stenda il telo sul “suo” bagnasciuga o ancora il temutissimo funzionario comunale che ti manda sempre nell’ufficio sbagliato o a cui manca sempre un documento.
Sul palco
Calcinacci è uno spettacolo eclettico in cui si intrecciano musica, acrobatica, racconti e immagini: molti linguaggi diversi a volte mescolati, altre volte giustapposti. Ogni capitolo di cui si compone è caratterizzato da uno stile, un linguaggio, un particolare modo di raccontare per mettere in evidenza di volta in volta aspetti diversi della frontiera. Abbiamo deciso di rendere lo spettacolo il più possibile vario e internazionale (come racconteranno i titoli di coda): i materiali, gli strumenti, gli oggetti che usiamo in scena (e persino gli attori) vengono da luoghi lontani, a volte a migliaia di kilometri dall’Italia.
I protagonisti della messa in scena sono i corpi degli attori che con pochi elementi, quasi simbolici, di costumi e scenografia, creano di volta in volta personaggi diversi, alcuni grotteschi altri realistici, diventano guardie di frontiera, commercianti, funzionari, viaggiatori. Attraverso coreografie acrobatiche stilizzano muri, linee, frontiere e passaggi. Ci raccontano un inseguimento dando vita a due piccoli personaggi ispirati dal teatro nero: grazie all’impatto visivo delle luci wood creano un mondo onirico, sospeso e silenzioso, come la cima delle montagne sulle quali si può correre, saltare e a volte pure volare.
I due si muovono in scena rispettando le linee imposte dalla scenografia. Il palco è diviso in zone ben precise: linee bianche tracciate per terra definiscono le aree dentro le quali si svolge l’azione. Sono linee arbitrarie, che creano forme geometriche proprio come quelle linee di confine tra stati che sembrano tracciate col righello.
Abbiamo deciso di parlare di situazioni assurde che suscitano spesso la rabbia dell’impotenza, ma di farlo con ironia e leggerezza, mettendo in scena il viaggio come un videogioco, un imprenditore-poeta che canta le lodi della passata Fanzié, dando voce ad un bagnino ed a una spiaggia di opinionisti in costume che discutono di confini tra una fetta di anguria e un mojito, per poi seguire il nostro viaggiatore dal cappellino rosso sulle Alpi, fino alla fine del suo lungo viaggio.
Da dove nasce lo spettacolo
Calcinacci nasce dal senso di impotenza quando, con le mani piene davanti ad un tornello del supermercato, non si trova lo scontrino necessario per uscire. Dall'immotivato nervosismo di chi, appena poggi il primo prodotto sul rullo della cassa, si affretta a prendere il cartello “cliente successivo” e a metterlo tra le sue Penne lisce e il tuo yogurt magro, come se dovesse difendersi dagli Unni.
Da quel sentimento che suscitò una delle prime imprecazioni di uno di noi quando a 11 anni cercarono di spiegargli il concetto di passaporto (e dire che non aveva ancora dovuto pagarlo lui).
Da quando nel 2018 siamo stati alla frontiera con la Francia, più precisamente a Clavière, ancora più precisamente in un sottochiesa occupato: Chez Jesus. Chez Jesus nacque per permettere ai viaggiatori (alias migranti) di riposare, di prepararsi un po’ meglio alla traversata e di avere qualche informazione su cosa avrebbero trovato dall’altra parte.
Chez Jesus fu occupato per lottare contro quella frontiera e contro tutte le altre. Un luogo libero, attivo, orizzontale e autogestito, luogo di discussione e azione, di incontro, scontro, risate, pianti e feste.
Non andammo in quel posto per cercare ispirazione, ci andammo perché avevamo sentito delle storie e volevamo vedere con i nostri occhi e con le nostre mani.
Una volta lì, ci piombarono addosso decine di storie di frontiera, centinaia di domande, ore di discussioni e riflessioni e, dopo alcuni mesi, Calcinacci diventò una necessità.
Un’ inchiesta di Stefano Liberti (I signori del cibo), l’esperienza a Chez Jesus (a Clavière) e nei i campi profughi Rohingya in Bangladesh, le interminabili discussioni bagnate di caffè o bicchieri di vino, il racconto etnobiografico di un “viaggiatore illegale” (Io sono confine), le decine di viaggiatori incontrati. Frammenti di storie, di discussioni, di libri, di viaggi, pezzi di un muro, Calcinacci.